sabato 27 settembre 2014

Erano tanti anni che sognavo di fare un viaggio in Normandia per visitare i luoghi dello Sbarco delle truppe alleate durante la Seconda Guerra Mondiale. Quest'anno mi sono messo di impegno per esaudire il desiderio, cogliendo l'occasione delle celebrazioni per il settantesimo anniversario della Battaglia di Normandia e abbinando l'idea che, possedendo una moto chiamata Deauville (Honda), non si sarebbe potuto evitare di andare a visitare l'omonima cittadina nel nord della Francia per un doveroso omaggio alla mia 2 ruote! Dopo un mesetto di pianificazione (in inverno, dato che le celebrazioni hanno imposto di prenotare i posti per dormire con ampio anticipo per trovare posto), è finalmente arrivato il giorno tanto atteso.

Moto in assetto da viaggio: borse laterali maggiorate (ma io le tengo montate tutto l'anno), bauletto con portapacchi, borsa serbatoio (la geniale Tanklock della Givi, bontà loro che l'hanno inventata). E il solito miracolo di mia moglie, che in 3 piccole borse riesce a far stare tanta di quella roba che io farei fatica a far entrare in un'auto
La partenza è “all’alba” delle 9.30… si capisce, vero, che non sono un mostro di solerzia? Direzione Bardonecchia – tunnel del Frejus, biglietto andata – ritorno (vale 8 giorni, si risparmia parecchio ed è comunque sempre integrabile se doveste tardare) e via nella pancia della montagna per un quarto d’ora di sofferenza, tra caldo ed aria inquinata opprimenti. Vedo la famosa luce in fondo al tunnel, e mi affaccio finalmente sulle strade francesi, un sogno per noi: asfalto perfetto, rattoppi fatti a regola d’arte senza sobbalzi, zero buche, segnaletica sempre presente e disposta come Codice della Strada comanda (e non con l’italico stile naif), limiti di velocità ragionevoli, e poi conducenti che si comportano come si dovrebbe, guardando gli specchietti, usando sempre le frecce (anche nelle rotonde…), rispettando i limiti ragionevoli di cui sopra, rispettando chi li precede… insomma un idillio, che per i motociclisti si completa con il beneficio delle tariffe ridotte in autostrada (peso un quarto e ho la metà delle ruote di una vettura, perché in Italia devo pagare uguale?) e del rispetto che gli altri utenti della strada hanno per i centauri.
Ma torniamo al nostro viaggio, che prosegue verso Lione, per poi abbandonare l’autostrada e puntare verso il nord utilizzando le statali per godersi il paesaggio della Francia centrale, una fantastica oasi di verde quasi ininterrotto a perdita d’occhio. Il meteo si prende gioco di noi, indossiamo le tute antipioggia appena prima di un tratto al sole, ma appena ci fermiamo per toglierle l’acquazzone è garantito qualche km dopo. Arriviamo a Loches, zona castelli della Loira, nostra meta per la prima notte. E’ in quel momento che mi rendo conto di aver fatto una gran ca…volata non scrivendomi gli estremi della chambre d’hote che ho prenotato in fretta e furia la sera prima. Ricordo solo che nel nome aveva “Mulino”, ed era una casa in pietra grigia con alcuni comignoli. Cioè come TUTTE le altre case di TUTTA la Francia del Nord, per cui trovarla sarà un gioco da ragazzi… Dopo mezz’ora di ricerche un paio di tentativi a vuoto, per fortuna un signore del luogo identifica con certezza la nostra meta e ci indirizza al B&B, soluzione che si rivela ottima: tranquillo, pulito, con un certo charme e proprietari gentili e disponibili. Facciamo un salto in paese per cena, è troppo tardi per trovare posto al ristorante (qui chiudono tutti piuttosto presto), ci accontentiamo di un paio di panini take away su una panchina vista mura antiche, non male tutto sommato.
Chenonceaux
Ci svegliamo sorpresi di non avere il minimo dolore dopo gli 800 km del giorno prima, brava la nostra Honda Deauville che mostra doti insospettate. Fuori splende il sole, e ci dirigiamo verso Chenonceaux per la visita al castello, dove ci accoglie un bel parcheggio riservato alle moto. Il castello di Chenonceaux si distingue, tra i tanti della Loira, per essere costruito a cavallo di un fiume, un’ala del palazzo è dunque un ponte che durante la Seconda Guerra Mondiale servì a molti francesi per fuggire dai raid dei nazisti nella zona. La visita è piacevole e si protrae per qualche ora, poi torniamo alla moto e riprendiamo il viaggio verso nord, destinazione Mont Saint Michel: questa volta ho ben presente l’indirizzo del B&B, che raggiungiamo facilmente, è disposto a pochi chilometri dall’abbazia che ci guarda da lontano nascondendo in parte il sole che scende verso il mare, regalandoci un romantico tramonto. Ci sistemiamo in camera (bella anche questa chambre d’hote, sempre pulita, abbastanza spaziosa, mansardata e con vista sulla sagoma del Monte) e usciamo per cena.
Le nuvole accompagnano il nostro risveglio, ma l’iPhone dice che oggi ci sarà il sole e noi gli vogliamo credere ciecamente. Colazione (piacevole, ma premuratevi, in questo B&B come altrove, di parlare almeno un po’ di francese per le cose essenziali perché da queste parti non solo l’italiano, ma anche l’inglese pare essere lingua sconosciuta ai più) e partenza verso Ovest, per un assaggio di Bretagna. Prima tappa Cancale, la patria delle ostriche: ostriche in mare, ostriche in vetrina, ostriche nei piatti, ostriche ovunque. Peccato che a noi le ostriche non piacciano, se fossero stati calamari fritti avrei fatto certamente indigestione. La zona più caratteristica della cittadina è sicuramente quella del molo del porto, dove si radunano i banchetti dei venditori dei pregiati molluschi e gli acquirenti degli stessi. I prezzi sono davvero bassi, basti sapere che costa di più, in proporzione, il “coperto” (piatto, limone, apertura delle valve) che il companatico. Decine di persone sono sedute in spiaggia e sul molo a gustarsi le loro ostriche, e il pavimento è ormai cosparso da alcuni metri di spessore di gusci: il tutto, penso, a conferma della freschezza del prodotto, perché altrimenti l’odore potrebbe essere insopportabile ed invece non si sente nulla.
Galette Bretonne
Dopo una visita al centro storico di Cancale, puntiamo verso Saint Malò: città completamente ricostruita dopo i bombardamenti della guerra, conserva il suo aspetto di cittadina medioevale e piratesca ma ci pare troppo turistica e commerciale, complice il porto turistico che riceve le navi da crociera ospitando così ogni giorno migliaia di turisti “stop and go” affamati di souvenir e cianfrusaglie varie. Una galette bretonne e una crèpe, con bicchiere di sidro, ci allietano il pomeriggio, dunque procediamo spediti verso Dinan (anzi non proprio spediti, dato che mi confondo e seguo le indicazioni per la vicina Dinard…), cittadina a pochi chilometri nell’interno di cui avevamo letto bene ma che non ci colpisce particolarmente, se non per la sua chiesa, particolare per la pianta a forma di croce e un doppio ingresso su due diversi lati ed abbellita da un organo multicolore.

Si sta facendo sera, rientriamo verso Mont Saint Michel e, visto che il meteo ha dato retta all’iPhone lasciando uscire un bel sole, decidiamo al volo di approfittarne per visitare l’isolotto oggi, che è l’ultimo giorno in cui, secondo il calendario delle maree, si può vedere l’effetto in maniera marcata. Gli immensi parcheggi sono quasi deserti, e la cosa ci piace non poco, incontreremo meno affollamento durante la visita; prendiamo la navetta che conduce alla base della fortezza, osserviamo i grandi lavori in corso per riportare il luogo alle sue condizioni originarie, e superiamo il portone di ingresso delle mura. Purtroppo l’abbazia chiude alle 18 e non potremo visitarla, ce ne facciamo una ragione e gironzoliamo per la struttura osservando da lontano il mare che sta iniziando proprio ora a ricoprire le sabbie mobili intorno a noi. Il tramonto visto da qui merita la pena, c’è una bella atmosfera, i negozi di souvenir hanno ormai chiuso restituendo al luogo la tranquillità propria di un luogo di culto. La piena della marea è intorno alle 21, la velocità con cui l’acqua ricopre tutto è impressionante, la natura sa davvero stupire.

Il museo del Camembert
Abbiamo previsto di dedicare il giorno successivo ai paesaggi dell’interno e alle attrattive culinarie della regione. Partiamo dunque dal b&b dirigendo la moto a Est, lungo le strade di campagna che ci porteranno fino a Camembert, un paesino simile a molti altri da queste parti, adagiato su un pendio di pascoli e meleti e governato dall’immancabile chiesetta con il campanile a punta, proprio quella che si trova disegnata su alcune confezioni dell’omonimo formaggio.
Visitiamo il piccolo museo del Camembert, ci riposiamo e ripartiamo alla volta della zona, che si trova poco più a nord, tipica per la produzione del sidro e del Calvados. Dopo aver cercato inutilmente di mangiare qualcosa in due posti indicati dalla guida ma nella realtà chiusi o non operativi, arriviamo alla distilleria Pere Magloire di Pont l’Eveque in tempo per l’ultima visita alle cantine, corredata da una piacevole degustazione di alcuni dei loro prodotti (ottimo l’abbinamento tra Calvados e Scwheppes, se vi interessa…).


Siamo ormai poco distanti dalla costa, il cielo è terso dopo una giornata di nuvole, così decido di anticipare ad oggi la visita di Deauville, cittadina omonima della mia moto (o è il contrario?), una delle tappe fondamentali che mi ero prefisso in questo tour. E’ una città turistica costruita per il tempo libero dei parigini che qui hanno la loro “riviera”, con un lungomare caratterizzato da decine di case tutte identiche e costruite con uno stile che secondo noi forse starebbe meglio in campagna… confina con la gemella Trouville, altra cittadina posta al di là di un canale dove tanti pescherecci adagiati sul fondale secco lasciano intuire che siamo sempre nella zona delle maree. Ci spostiamo al di là del canale per cena in uno dei tanti ristoranti che affacciano sul porto, prima di fare rientro al b&b sfruttando l’ottima autostrada gratuita e non mancando di prendere un po’ di pioggia lungo il percorso (ma davvero, per ora, non ci possiamo lamentare per il meteo, sono le prime gocce che vediamo a parte il primo giorno…).
La mattina dopo è tempo di fare le borse, l’emozione sale perché oggi ci spostiamo nella zona dello Sbarco in Normandia, principale motivo di interesse per questo viaggio. In giornata, decidiamo di visitare la penisola del Cotentin, il “dito” che sta tra Mont Saint Michel e le spiagge dello Sbarco. Dirigiamo verso l’estremo nord della penisola, nella zona del faro di Cap de la Hague: abbiamo nel frattempo indossato l’abbigliamento antipioggia, che come al solito funziona in maniera contrarian allontanando i nuvoloni e facendoci patire un po’ di caldo, bene così.

La zona di Cap de la Hague è spettacolare, ci ricorda per alcune versi la Sardegna, qui però ci sono le mucche anziché le pecore (che però abbondano in tante altre parti della Normandia, a dir la verità); i colori sono fantastici, i prati sono verdi che paiono disegnati con Photoshop ed il contrasto col blu del mare è sempre motivo di gioia per gli occhi. Nella zona è presente anche una mega struttura industriale della Areva, scopriremo poi che si tratta dell’impianto di trattamento delle scorie nucleari provenienti dalle varie centrali. Ci fermiamo un po’ in prossimità del faro, ad ammirare il panorama dalle spiagge della zona, sfruttando il wifi gratuito del locale ufficio informazioni e constatando che il punto ristoro della zona non ha propriamente il fiuto del business, visto che è aperto solo alcune ore al giorno (ma certamente il titolare ne guadagna in qualità della vita, per cui non lo biasimo…). Dopo esserci informati sulla collocazione del benzinaio più vicino (da queste parti per i motociclisti è sempre una incognita il rifornimento, vista la scarsità di benzinai), lo raggiungiamo e proseguiamo quindi verso Cherbourg, che rinunciamo a visitare infastiditi dal traffico e dal senso di grande confusionaria città che non è quello che chiediamo alla nostra vacanza. Passiamo oltre, è ancora presto e dedichiamo mezz’ora alla visita della zona di Barfleur, dove c’è tra le altre cose il secondo faro più alto di Francia (71 metri): la deviazione vale la pena.
È ora di avviarci per raggiungere Saint Pierre du Mont dove abbiamo prenotato la stanza, ma nel tragitto non possiamo resistere alla tentazione di tuffarci per la prima volta nell’atmosfera dello Sbarco quando vediamo il cartello “Saint Mere Eglise”: mettiamo la freccia e puntiamo al famoso campanile col famosissimo fantoccio del paracadutista impigliato. All’improvviso, girato l’angolo di una via, capiamo finalmente che cosa ci attenderà nei giorni successivi. Pare davvero di aver imboccato la “strada del tempo” ed essere giunti nel 1944, anzi forse è più corretto dire nel 1945 perché l’atmosfera è distesa e scanzonata. Decine e decine di mezzi militari di ogni specie girano per le strade o sono in sosta nelle piazze, mentre centinaia di persone, adulti, bambini, anziani, donne con abbigliamento militare dell’epoca riempiono l’intero paesello, le vie i locali, i negozi. Spettacolare, rimaniamo a bocca aperta. Scattiamo foto e giriamo un po’ in questa enorme sceneggiatura, ma il tempo vola ed è davvero tempo di riprendere la moto per andare alla chambre d’hote, percorrendo una strada lungo la quale i cartelli stradali sono più che mai evocativi, “Omaha Beach”, “Pointe du Hoc”, “American Cemetery” e via discorrendo. Ceniamo a Grandcamp, dove parcheggiamo la moto tra un gruppo di Jeep Willys con targa olandese, e rimaniamo sorpresi ed emozionati quando nel locale in cui ci troviamo entra una persona che identifichiamo facilmente come un veterano di guerra, per la sua divisa colma di medaglie più che per il pass seminascosto in tasca con la scritta “Veteran” (che gli servirà per le celebrazioni dei giorni successivi). Ha 93 anni, il “giovinotto”, ma non rinuncia, a metà del pasto, a sedersi nel dehor per godersi una sigaretta accompagnata da una birra fresca, che regge con mano incredibilmente ferma.
E’ l’alba del giorno dopo, e noi, dopo una buona colazione in compagnia degli altri avventori del b&b, siamo pronti e carichi. È il nostro primo giorno nei luoghi che furono teatro, 70 anni prima, di un evento che cambiò le sorti del mondo: vogliamo scoprire, vedere, riflettere. Pioviggina, ma chi se ne importa, anzi l’atmosfera è quella giusta per quel posto. La prima tappa che abbiamo in mente è la spiaggia di Omaha, distante pochi chilometri dal nostro domicilio. Lungo la statale, è scenografico trovarsi nel traffico costituito in prevalenza da mezzi militari, i veicoli moderni, pur tanti, sono in minoranza! Arriviamo a Saint Laurent sur Mer e scorgiamo in un prato la ricostruzione fedele di un accampamento militare alleato: tende, tavolate, centri di comando, autoblindi, jeep  e decine di militari in giro per la zona; per accedere superiamo un “checkpoint” con militari di guardia e ci troviamo in un museo a cielo aperto che non ha nulla da invidiare a quelli “ufficiali” presenti in gran numero in queste zone (e che per questa volta non visiteremo, con l’idea che per quelli ci sarà sempre un’altra possibilità). A poca distanza arriviamo infine ad Omaha Beach insieme a un gruppo di tedeschi che hanno condotto i loro veicoli sulla spiaggia per un servizio televisivo, mentre in un cimitero lungo la strada si sta svolgendo una celebrazione.
Apprezziamo come mai in questo viaggio la comodità di essere in moto, come sempre in Francia c’è una cultura di gran rispetto per i bikers, che hanno sempre accesso ai parcheggi più vicini agli eventi (a volte anche inventati: da queste parti, se hai la buona educazione di lasciare la moto in posti che non diano fastidio ai pedoni ed alla circolazione, è difficile che si abbiano noie; diversamente, non auguro a nessuno di avere a che fare con la Gendarmerie…). Passeggiamo a lungo sulla spiaggia, osservando le scogliere oggi contornate da graziose villette, mentre certamente 70 anni fa lo spettacolo per gli Alleati dovette essere meno accogliente…

Cimitero americano
Riprendiamo la moto e dirigiamo verso Colleville sur Mer, che ospita il Cimitero Americano. C’è una gran folla, e ci troviamo nel viale di ingresso insieme ad alcuni veterani che si stanno dirigendo nella zona centrale per una cerimonia in ricordo dei caduti; sul posto, si alzano orgogliosamente dalle carrozzine che li hanno trasportati e si liberano dagli antipioggia incuranti del vento e dell’acqua, è chiaro che vogliono restare con le uniformi decorate per rendere omaggio a quelli che furono i loro compagni in guerra: la scena è commovente, e guardandoci intorno non siamo i soli a lasciarci scappare una lacrima. La distesa di 9387 croci bianche (tra cui alcune ebraiche) che caratterizza questo cimitero si estende a perdita d’occhio negli ampi spazi verdi del cimitero, che è collocato su un promontorio sovrastante Omaha Beach: vediamo in lontananza alcuni giovani marines, che sono qui anche per i servizi di sicurezza connessi alla presenza del Presidente degli Stati Uniti Barack Obama nella zona, rilassarsi in un momento di riposo. Una coppia legge alcuni brani da un breviario, un militare fotografa, un bambino piange… tutti parlano sottovoce, la voce fatica ad uscire.
Riprendiamo la moto e puntiamo in direzione Ovest, vorremmo arrivare a Carentan dove nel primo pomeriggio è previsto un sorvolo di alcuni velivoli storici ed il lancio dei paracadutisti. Purtroppo, dopo un po’ di attesa, ci limitiamo ad osservare i 7 aerei (decollati da Plymouth), tra cui i C47 Dakota, che sorvolano due volte l’area, mentre il fortissimo vento impedisce i lanci dei 100 uomini a bordo, peccato. Sulla via del ritorno ci fermiamo per la visita alla Pointe du Hoc. Situato ad una estremità della spiaggia di Omaha, questo promontorio fu considerato un punto strategico dagli Alleati, perché consentiva ai Tedeschi di tenere sotto tiro diverse decine di chilometri di costa, da Utah Beach ad Omaha Beach. La conquista del luogo fu affidata ai Rangers, una divisione di 225 militari specializzati che, per errore, fu sbarcata all’alba del 6 giugno a 3 miglia di distanza dal punto corretto, rendendo difficile fin da subito la loro impresa. Dopo feroci scontri, soltanto 95 di loro sopravvissero, ma portarono a termine la missione con esito positivo. Il territorio è stato lasciato come all’epoca, e ciascuno può così rendersi conto dell’effetto devastante di un bombardamento: i crateri presenti a decine hanno diametro di diversi metri e sono più profondi dell’altezza di un uomo, i bambini che giocano correndo su e giù per queste buche creano un fortissimo contrasto iconico. Allo stesso modo, si può capire con quale cura i tedeschi realizzarono le postazioni difensive, dato che alcune di queste sono rimaste intatte nonostante i ripetuti cannoneggiamenti cui furono sottoposte nei giorni dello sbarco e sono ora visitabili anche all’interno.



Per noi si è fatto tardi, il cielo minaccia di nuovo pioggia (al tardo mattino si era aperto e ci aveva regalato una giornata soleggiata) e quindi rientriamo in camera, per poi andare a cena di nuovo a Grandcamp.


Ci svegliamo di buon’ora per la nostra ultima giornata in Normandia, ovviamente ancora dedicata alle celebrazioni dello Sbarco. Dopo aver caricato la nostra Deauville per la partenza, raggiungiamo il cimitero di guerra tedesco, che sembra volutamente messo un po’ in disparte, fuori dai percorsi principali del “turismo della memoria”. Se quello americano commuove, a nostro parere questo angoscia.
Protesi e stampelle: passione senza confini
Superato il piccolo ingresso, ci si trova di fronte ad uno sterminato prato verdissimo disseminato di piccole croci di pietra nera o di metallo brunito “appoggiate” a terra in file ordinate. Nessun ostacolo allo sguardo, libero di posarsi su ciascuno di questi 20.000 simboli di morte. Camminando lentamente, si possono leggere le date di nascita dei militari lì sepolti, per capire ancora meglio l’assurdità di ogni guerra: molti ragazzi sono morti combattendo più giovani di quando io ho fatto la visita di leva… Altrettanto inquietante il fatto che molte tombe riportino soltanto la dicitura “Ein soldat” o “Zwei soldaten”: militi ignoti, spazzati via dal mondo senza nemmeno un nome da ricordare. Usciamo dal cimitero mentre alcuni tedeschi portano fiori ad un loro conoscente, palesemente a disagio tra gli sguardi di molti che da queste parti li vedono ancora come “il nemico”. Nel parcheggio, un gruppo di motociclisti inglesi: uno di loro ha un paio di stampelle fissate alla moto, mentre dalle scarpe poggiate sulle pedane si vedono bene due protesi meccaniche: la sua forza di volontà diventa subito il nostro miglior antidoto alla tristezza che il cimitero ci ha lasciato.
Ripartiamo puntando ad Est, per raggiungere Longues sur mer, dove si trova una delle batterie di difesa tedesche meglio conservate: ci sono ancora molti cannoni arrugginiti, lasciati in posizione all’interno delle casematte, con le bocche da fuoco puntate verso un C-130 dell’Aeronautica francese che proprio in quel momento sta effettuando un sorvolo dimostrativo sulla zona: altri brividi che corrono lungo la schiena dei presenti. Dall’estremità di questa postazione, superato l’ultimo bunker a ridosso della scogliera, si vedono bene ad alcuni chilometri di distanza i resti del famoso porto “Mulberry”, la struttura artificiale che gli Alleati costruirono dinnanzi alla cittadina di Arromanches trasportando tutti i pesantissimi componenti attraverso la Manica. Proprio Arromanches sarà la nostra ultima meta di questo viaggio nei luoghi dello sbarco in Normandia. Il paese è grazioso ed ordinato, di recente ricostruzione: fu infatti ripetutamente bombardato durante il D-Day, e gli Alleati decisero poi di raderlo completamente al suolo per agevolare il passaggio di uomini e mezzi che sbarcavano nel porto artificiale per proseguire verso l’interno del territorio francese. Il giorno successivo ci saranno qui grandi celebrazioni, ed abbiamo modo di assistere alle prove generali, in un’atmosfera di festa ed alla presenza di numerosi veterani orgogliosi di farsi fotografare da tutti. Molto scenografico l’arrivo sulla spiaggia di un moderno mezzo da sbarco dell’esercito francese, che ci regala un’ultima immagine molto significativa della nostra vacanza che volge al termine. Ci mettiamo in moto e dirigiamo verso Tours, dove intendiamo fare tappa per la notte: si rivela inaspettatamente una città molto frequentata, tutti gli hotel sono al completo e noi, ormai stanchi per la giornata ed il viaggio, fatichiamo a trovare un posto per dormire, e crolliamo nel letto appena un motel della catena “B&B Hotel” ci offre una stanza, peraltro ottima ed economica.
Qualche moscerino?
Il giorno dopo ci aspetta l’ultima lunga cavalcata verso casa: 800 chilometri che percorriamo per la maggior parte in autostrada, trovandoci in un mega ingorgo a Lione che per fortuna superiamo abbastanza in fretta ringraziando ancora una volta di essere in moto! Ultimo pieno di benzina in terra francese per risparmiare qualcosa, e dopo il Frejus siamo di nuovo in Italia: dopo 10 giorni di asfalto francese, resto quasi sconvolto dal pessimo stato delle nostre strade, del quale per assuefazione a volte non ci accorgiamo. Sono convinto di aver preso più buche e dossi in pochi chilometri tra Frejus e Susa che non nei 3000 km percorsi in Francia! 
La nostra Honda Deauville si è dimostrata una compagna fedele e instancabile. Ci ha fatto spaventare un giorno in autogrill, quando dopo una breve sosta non ne voleva sapere di ripartire: rianimata con i cavi di un gentile signore francese, non ha più dato problemi. A pieno carico, in due più tanti bagagli, ci ha portati in autostrada a velocità da codice senza affanni, e si è fatta condurre nel traffico caotico delle manifestazioni in Normandia senza lamentarsi. Il tutto chiedendo soltanto 5 litri di benzina ogni 100 chilometri, e nemmeno un grammo d'olio. Se questo viaggio ci ha lasciato ricordi meravigliosi lo dobbiamo anche a lei! 

4 commenti:

  1. Bellissimo viaggio Edo!! A metà del tuo racconto ero con la testa già in garage pronto a partire per seguire le tue orme!! Ma un giorno lo faccio davvero sto viaggio!ciao! fabio manavella

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Fabio, se decidi diccelo, che magari torniamo su con te! :-)

      Elimina
  2. Complimenti Edo, avevo già seguito un po' il vostro viaggio su FB ma leggere il racconto sul blog è molto meglio. Dopo vado anche a vedere tutte le foto...
    Gran bei posti, molti li ho visitati anni fa in un giro in camper ma altri mi mancano (proprio a causa del camper che si doveva parcheggiare sempre lontano)

    RispondiElimina
  3. Bellissimo racconto. mi fa ritornare con la memoria a quando ci siamo andati con il camper qualche anno fa...contiamo di ritornarci in moto quest'estate...complimenti

    RispondiElimina